“Ci sono persone gay che vengono fermate fuori dai centri di accoglienza dai loro stessi connazionali e vengono picchiate perché omosessuali. Se hanno dei documenti in cui è raccontata la loro storia e, quindi, le persecuzioni subite a causa del loro orientamento sessuale, devono nasconderli. I loro stessi compagni di viaggio o del centro potrebbero, infatti, fargli del male visto che provengono da contesti sociali altamente omofobi”, spiega Nicola Noro che gestisce, assieme ad altri volontari, il gruppo di ascolto giovani arcobaleno G.A.G.A a Vicenza.
LEGGI ANCHE: Croazia, due militari americani pestati a sangue perché “troppo gay”
Sono davvero tante le difficoltà a cui i migranti Lgbt vanno incontro. E molti di loro cercano supporto nelle associazioni che colmano i vuoti lasciati dalle cooperative. Lo sportello di ascolto ha una funzione duplice: sia aiutare psicologicamente le persone nella presa di coscienza di sé, nonostante essere cresciute e vissute in contesti altamente omofobi e repressivi, sia preparare i richiedenti asilo ai colloqui con la commissione che giudicherà se assegnare o meno lo status di rifugiato. Davanti a sconosciuti, quindi, devono essere pronti a raccontare la loro storia e le persecuzioni che hanno subito a causa del loro orientamento sessuale. E, come spiega Nicola Noro che da anni è impegnato nell’accoglienza e nel supporto di persone migranti: “Non è semplice, quando si proviene da un Paese in cui l’omosessualità è reato, poi rendersi conto che qui in Italia dire di essere gay non solo non è punito, ma anzi è ciò che ti permette di avere l’asilo se i giudici ritengono che il caso rientra nelle previsioni dei trattati internazionali”.
LEGGI ANCHE: Daniela Santanchè contro Ricky Martin “Padre di un bambino senza mamma”
Facciamo allora un piccolo passo indietro e diciamo che se l’orientamento sessuale è fonte di pericolo, nel proprio Stato di origine, perché condannato e perseguitato, si ha diritto alla protezione e ad acquisire lo status di rifugiato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, del 23 aprile del 2019, ha chiarito le zone d’ombra della tutela: le autorità competenti ad esaminare i casi non possono limitarsi a verificare se sono presenti leggi discriminatorie dello Stato. Devono, invece, accertare se questo compie gli sforzi necessari per garantire la sicurezza delle persone Lgbt. Detto in altri termini: non è sufficiente che nel Paese di origine l’omosessualità, ad esempio, non sia considerata un reato. È invece doveroso capire se la società è pericolosa e se il governo mette in campo le giuste tutele per arginare fenomeni di violenza. La sentenza è nata a seguito del ricorso di un richiedente asilo di origini ivoriane, Bakayoko Aboubakar che, dopo della morte del suo compagno in circostanze non chiarite, era stato minacciato dai parenti e ha quindi deciso quindi di fuggire. La Commissione territoriale di Crotone aveva respinto la sua domanda poiché la Costa D’Avorio non presenta leggi che considerino l’omosessualità un reato e anche perché nello territorio è assente un conflitto armato. Secondo la Corte di Cassazione, però, questa non è una motivazione adeguata per respingere al richiesta di protezione, perché nel Paese sono frequenti gli atti di violenza contro le persone Lgbt, senza che lo Stato abbia mai arginato la cosa con delle adeguate azioni di tutela.
LEGGI ANCHE: Si fingevano gay per appartarsi con le vittime e rapinarle: arrestati
Noro conferma le difficoltà e le terribili forme di persecuzione di moltissimi degli Stati da cui giungono i migranti: “C’è una differenza tra la pericolosità delle leggi statali, repressive e che condannano l’omosessualità, e poi la cosiddetta “Jungle Justice”, ovvero quella forma di farsi giustizia da sé che vede il gruppo sociale in prima linea nel commettere violenza contro le persone Lgbt. In Nigeria, ad esempio, se sei omosessuale rischi, secondo l’ordinamento giuridico, 14 anni di carcere. Veramente tanti. Ma, al di là della sentenza, rischi molto di più: rischi di essere ucciso dalle persone che fanno parte del contesto in cui vivi. Sai cosa fanno? Prendono un copertone di un’auto, lo mettono sulla testa e gli danno fuoco. E si muore così”.